Milano – È uscito in questi giorni il libro “Mi faccia dire un’Ave Maria” scritto dal nostro segretario generale e socio Valter Izzo. L’autore racconta la sua esperienza di trapiantato al Niguarda e il suo impegno per la Fondazione NTF fin dalla sua creazione. E ciò all’interno di un’autobiografia che descrive una vita di opere di accoglienza e cura in favore di giovani e adulti in difficoltà.
Il libro “Mi faccia dire un’Ave Maria”, Itaca Edizioni (16,50 €), è disponibile in sede di NTF e può essere ordinato in libreria o acquistato sul sito www.itacalibri.it
Per le esperienze più significative raccontate nel libro sono disponibili brevi filmati nel canale YouTube ‘Valter Izzo’.
Qui di seguito, viene riportato l’ultimo capitolo del libro.
La vita ha il sopravvento
All’ospedale Niguarda sono di casa, per le numerose degenze che ho trascorso, gli interventi chirurgici, i cicli di terapia. «Sono un ‘tumorato’ di Dio», ironizzo a ogni prova superata. A volte incrocio negli stessi reparti Angelo, benefattore e amico in tante imprese sociali che ho promosso o con cui ho collaborato, per giovani e adulti in difficoltà di ogni genere. Anche Angelo ha dovuto sottoporsi a un trapianto di fegato.
Con lui, e con altri pazienti, il discorso cade inevitabilmente su emozioni e timori di chi è in attesa del trapianto e sulla gioia provata alle dimissioni, di fronte alla vita ritrovata.
Col tempo crescono la familiarità coi medici e le occasioni di dialogo. In una di queste occasioni mi colpisce una frase del primario, professor De Carlis:
«Ho effettuato centinaia di trapianti e ogni volta, le garantisco, è come se fosse la prima».
«Ricorda qualche caso in particolare?», chiedo.
«Mi è impossibile dimenticare il primo trapianto da vivente, che realizzai nel 2001 da figlio a padre. Non c’era a disposizione un altro donatore adatto: mi commosse la fiducia di entrambi nel mettere nelle mie mani le loro vite».
La chiacchierata prosegue. Al primario sembra non bastino i primati raggiunti e glielo faccio notare:
«C’è ancora tanto da fare – risponde –, ci sono ancora molte strade da esplorare dove innovazione, tecnica chirurgica e trattamenti farmacologici si intersecano».
Nei giorni successivi mi tornano spesso alla mente le parole del primario e quanto si potrebbe fare per salvare più pazienti. Poi penso all’ansia di chi attende un donatore e sa che la sua vita dipende spesso dalla morte di un’altra persona. E infine ricordo i volti dei parenti, in attesa di una buona notizia e di una parola di conforto, chieste – anche solo con lo sguardo – a ogni medico che esce dalla sala operatoria durante le ore interminabili dell’intervento.
Torno dopo qualche giorno dal primario e riprendo il discorso sui bisogni legati al mondo dei trapianti.
Si stringe nelle spalle:
«La sala operatoria assorbe la maggior parte del nostro tempo. E poi ci sono i controlli periodici: il rapporto con i pazienti trapiantati dura in pratica tutta la vita. È un po’ che penso ad una fondazione, che affianchi la nostra équipe e ci aiuti a rispondere alle necessità che anche lei ha sperimentato, e non solo quelle: pensi alla necessità di sensibilizzare l’opinione pubblica alla donazione degli organi, o al bisogno di alcuni pazienti del sostegno di uno psicologo all’altezza».
Penso istintivamente ai tanti amici del Gruppo di cooperative sociali “La Strada” che ancora frequento: possono darmi una mano a impostare la fondazione e seguire poi gli aspetti amministrativi.
Esploro il blocco sud dell’ospedale: il primo piano è occupato dai reparti di degenza, che si affacciano su una vasta sala d’attesa per i parenti degli operati. È decisamente grande e sottoutilizzata. La si potrebbe dividere in due parti e ricavare la sede della fondazione.
Il dottor Di Sandro, dell’equipe chirurgica, aggiunge proposte e idee a quelle che già mi passano per la testa.
Di tanto in tanto faccio il punto con Angelo e analizzo con lui obbiettivi e costi: «Cosa ne dici? – gli chiedo a progetto definito – Partiamo?».
Angelo annuisce convinto.
Nel 2016 nasce NTF, acronimo di Niguarda Transplant Foundation: l’inglese è d’obbligo, viste le ambizioni scientifiche.
Si realizza la sede come era stata prevista, e un sito web continuamente aggiornato da specialisti e trapiantati.
Si consolida una collaborazione organica con l’Università Bicocca di Milano-Istituto di Statistica per analizzare centinaia di interventi effettuati al Niguarda e presso altri ospedali: lo scopo è quello di individuare le tecniche chirurgiche che garantiscono i migliori risultati. Alcuni studi sono già stati accettati e pubblicati dalle più qualificate riviste internazionali del settore.
Il Niguarda è meta frequente di viaggi della speranza; da ogni parte d’Italia vengono candidati al trapianto che inseguono il miracolo della guarigione. Sono generalmente accompagnati dalla moglie, dal marito, da un figlio: nei loro sguardi si legge un misto di ansia e speranza, che si portano con sé quando, terminato l’orario delle visite, lasciano l’ospedale.
È lo stesso sguardo con cui, anni prima, mi guardavano i miei cari quando il trapiantato ero io.
Mi rivolgo ai miei amici de La Strada, che gestiscono da anni numerosi alloggi per esigenze abitative temporanee. In collaborazione con loro nasce un servizio di ospitalità per i parenti dei trapiantati grazie ad alcuni alloggi arredati, più vivibili (e meno cari) di un’impersonale stanza d’albergo.
Si tratta di un aiuto a chi spera che la vita dei propri cari prenda comunque il sopravvento.
E aiutare il prossimo – qualunque fosse il suo bisogno – mi ha sempre permesso di vivere fino in fondo la mia esistenza.