Milano – Il doppio intervento all’ospedale Niguarda sull’innovativa tecnica mutuata da un’equipe di Indianapolis e mai utilizzata prima d’ora nel nostro Paese, apre nuove possibilità nei trapianti.

Grazie all’equipe del Professor Luciano De Carlis, abbiamo “importato un nuovo sogno Americano” e possiamo dare nuova speranza a chi ha bisogno di un trapianto combinato.

Nello specifico la procedura è stata condotta su una paziente con un fegato policistico di 10 kg. Il rene trapiantato a due giorni dal fegato è stato ricondizionato e conservato fuori dal corpo per oltre 50 ore.

” […] L’intervento prevede l’esecuzione in prima battuta del trapianto di fegato. Il rene, proveniente dallo stesso donatore del fegato, viene invece conservato in una macchina ipotermica dedicata in cui la circolazione è assistita artificialmente. In questo modo si assicura una buona perfusione dei tessuti dell’organo che si mantengono vitali per un periodo molto più lungo rispetto alla norma. Nello specifico il rene trapiantato dai chirurghi di Niguarda è stato perfuso fuori dal corpo per ben oltre 50 ore. Questo ha permesso di intervenire per l’impianto del rene ricondizionato a due giorni dal trapianto di fegato.

Questa scomposizione del trapianto combinato fegato-rene, che solitamente avviene con un unico intervento, è stato dettato dalle dimensioni xxl del fegato malato, che superava i 10 kg di peso (il peso medio in un adulto sano è pari a 2 kg). Il prelievo di un organo così voluminoso ha obbligato, infatti, l’équipe di Niguarda ad utilizzare un protocollo innovativo messo a punto negli Usa e mai utilizzato prima in Italia. Una strategia che si rileva più sicura ed efficace e che ha messo la paziente, di 53 anni, al riparo da possibili complicazioni.

Nella policistosi epatorenale avanzata, la qualità di vita del paziente è gravemente compromessa dall’insufficienza renale cronica e dalla compressione addominale dovuta alla crescita abnorme del fegato. “In questi casi, risulta indicato il trapianto combinato di fegato e rene – indica De Carlis – ma il trapianto di fegato in queste condizioni risulta particolarmente complesso dal punto di vista chirurgico. L’utilizzo della circolazione extracorporea, il ricorso a farmaci vasopressori per controllare l’ipotensione, nonché la transitoria ipotermia durante il trapianto di fegato sono fattori potenzialmente in grado di compromettere la ripresa funzionale del successivo trapianto di rene, se eseguito nel corso della stessa sessione chirurgica del trapianto di fegato”. 

La possibilità di mantenere il rene in una macchina da perfusione in condizioni ottimali per alcuni giorni (ovvero ben oltre i tempi concessi dalla tradizionale conservazione in ghiaccio che solitamente arriva ad una finestra di 15 ore) permette di stabilizzare il ricevente e prepararlo al meglio per il successivo trapianto di rene. “Questo tipo di approccio è stato per la prima volta riportato in uno studio americano realizzato dall’Indiana Medical Center di Indianapolis, ma mai utilizzato fino ad ora nel nostro Paese” sottolinea De Carlis. 

A distanza di pochi giorni, un secondo caso di trapianto fegato-rene in due tempi è stato eseguito sempre a Niguarda in collaborazione con il Centro Trapianti di Genova, diretto da Enzo Andorno (da diversi anni è attivo un protocollo di collaborazione Niguarda- San Martino che permette l’intervento a Milano per i pazienti liguri). Anche in questo secondo caso (una paziente di 39 anni) il rene è stato impiantato dopo oltre 50 ore di riperfusione. I due trapianti combinati eseguiti a Niguarda sono stati coronati da pieno successo clinico ed in entrambi i pazienti la funzione renale è ripresa immediatamente, già in sala operatoria.

L’utilizzo delle macchine da perfusione (machine perfusion) nell’ambito dei trapianti d’organo si sta affermando sempre di più in Italia. Il Centro Trapianti dell’Ospedale Niguarda di Milano si è già da alcuni anni distinto in questo campo, qui nel 2015 è stato, infatti, portato a termine il primo caso di trapianto di fegato da donatore a cuore non battente in Italia. Così quattro anni fa per la prima volta è stato possibile utilizzare un fegato prelevato da un donatore che non si trovava in uno stato di morte cerebrale. 

L’impiego di queste nuove possibilità amplia le disponibilità di organi e un uso sempre diffuso di questa tecnica potrà portare ad una compressione delle liste d’attesa. […]”

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