
Il Dott.Valter Izzo
All’ospedale Niguarda sono di casa, per le numerose degenze che ho trascorso, gli interventi chirurgici, i cicli di terapia.
«Sono un ‘tumorato’ di Dio», ironizzo ad ogni prova superata.
A volte incrocio negli stessi reparti il mio amico Angelo che, come me, ha dovuto sottoporsi ad un trapianto di fegato.
Con lui, e con altri pazienti, il discorso cade inevitabilmente su emozioni e timori di chi è in attesa del trapianto e sulla gioia provata alle dimissioni, di fronte alla vita ritrovata.
Col tempo crescono la familiarità coi medici e le occasioni di dialogo. In una di queste mi colpisce una frase del Direttore, professor De Carlis:
«Ho effettuato centinaia di trapianti e ogni volta, le garantisco, è come se fosse la prima».
«Ricorda qualche caso in particolare?», chiedo.
«Mi è impossibile dimenticare il primo trapianto da vivente, realizzato nel 2001 da figlio a padre perché non c’era a disposizione un altro donatore adatto: mi commosse la fiducia di entrambi nel mettere nelle mie mani le loro vite».
La chiacchierata prosegue e
d emergono veri e propri primati per quantità e complessità dei trapianti.
«C’è ancora tanto da fare – prosegue –, ci sono molte strade da esplorare dove innovazione, tecnica chirurgica e trattamenti farmacologici si intrecciano”.
Nei giorni successivi mi tornano spesso alla mente le parole del primario e quanto si potrebbe fare per salvare più pazienti. Penso all’ansia di chi attende un donatore ed ai i volti dei parenti in attesa durante l’intervento: ore interminabili aspettando una buona notizia e una parola di conforto, chieste – anche solo con lo sguardo – a ogni medico che esce dalla sala operatoria.
Riprendo il discorso con un altro chirurgo dell’equipe, il dottor Di Sandro:
«La sala operatoria assorbe la maggior parte del nostro tempo. E poi ci sono i controlli periodici: il rapporto con i pazienti trapiantati dura in pratica tutta la vita. Occorrerebbe una fondazione… Sì, una fondazione che affianchi la nostra équipe e ci aiuti a rispondere alle necessità più varie: la ricerca, l’informazione ai trapiantati, il sostegno perché riprendano una vita normale…”
Ho tanti amici nel mondo del sociale che possono darmi una mano a impostare la fondazione e seguire gli aspetti amministrativi. Esploro il Blocco Sud del Niguarda: il primo piano è occupato dai reparti di degenza, che si affacciano su una vasta sala d’attesa per i parenti degli operati. È decisamente grande e sottoutilizzata. La si potrebbe dividere in due parti e ricavare la sede della fondazione.
Di tanto in tanto faccio il punto con Angelo e analizzo con lui obbiettivi e costi: «Cosa ne dici? – gli chiedo a progetto definito – Partiamo?».
Angelo annuisce convinto .Nel 2016 nasce NTF, acronimo di Niguarda Transplant Foundation: l’inglese è d’obbligo, viste le ambizioni scientifiche.

Ntf Ingresso della sede al blocco sud
Si realizza la sede come era stata prevista, e un sito web che poi viene continuamente aggiornato. Si instaura una collaborazione organica con gli statistici legati all’Università Bicocca di Milano, per analizzare centinaia di interventi effettuati al Niguarda e presso altri ospedali. In parole povere, lo scopo è quello di individuare tecniche chirurgiche e circostanze che garantiscano i migliori risultati. Diversi studi vengono pubblicati sulle più qualificate riviste internazionali del settore.
Col tempo qualchevolto cambia e qualcuno si aggiunge, ed oggi è in corso una fase di rilancio – animata dal dottor Buscemi, chirurgo – con l’apertura di nuove iniziative in favore dei trapiantati.
La Fondazione si avvia a compiere cinque anni di vita ed ha accompagnato alla vita casi incredibili.
Una volontaria è moglie di un trapiantato: un doppio intervento circa un anno fa.
Oggi lui scia con i figli, in piste consentite per l’agonismo.
Valter Izzo – Segretario NTF