Cosa si prova nel momento in cui arriva la telefonata della presenza di un fegato compatibile? Come ci si sente al risveglio, dopo l’operazione? E il primo passo scesi dal letto? La storia di Claudio è un racconto di un’esperienza forte, che chiude giorni di sofferenza e apre un nuovo ciclo di vita denso di entusiasmo, riflessioni e insegnamenti. Con un ringraziamento al donatore, alle equipe mediche e paramediche dell’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano e dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova. Grazie a te, Claudio.
“Ecco la mia esperienza pre e post trapianto, perché per il durante ero solo presente in modo fisico. Dapprima una scelta o continuare a continue flebo di albumina per sopravvivere, e non vivere, e soprattutto chissà sino a quando con un fisico e di conseguenza il morale che si spegnevano di giorno in giorno oppure, come suol dirsi, prendere il toro per le corna; quindi fare tutti gli esami clinici per poter essere messo in lista di attesa per il trapianto.
E poi si attende, nel mio caso con una fatica fisica maggiore di giorno in giorno. A sera tarda, quando stai per coricarti, arriva una telefonata sul cellulare “…Sono il Prof…del Centro Trapianti di Genova, lei dove si trova in questo momento.” ed io “A casa…” “C’è la possibilità di un fegato compatibile per lei, aspetto conferma, intanto lei prepari velocemente la borsa, la richiamo tra poco” e dopo pochi minuti, che mi sono sembrati secondi e ore al tempo stesso, un’altra telefonata “…Si sono sempre io, lei si trova in via…vero? Allora scenda dal portone è in arrivo un’ambulanza che la porterà al Niguarda di Milano, mi raccomando faccia presto perché è già partita”. Misurare l’emozione con la paura vera non è facile ma in quel caso l’adrenalina svolge il suo compito.
Trasferimento in ambulanza, arrivo al Niguarda, ultimi controlli e preparativi di rito e poi il lavoro duro è difficile tocca ai medici e agli assistenti in sala operatoria. Dopo l’intervento il passaggio obbligatorio nel reparto intensivo, sempre sedato e incosciente. Il risveglio, concordando con il precedente racconto del Signor Gianfranco, è la parte più complicata, penso che a causa della lunga, ed inevitabile sedazione, la difficoltà a “rientrare nel personaggio” sia normale. Personalmente non sapevo ne il giorno ne l’ora e neppure se ero stato effettivamente operato.
Pensieri accavallati e una giusta dose di panico. Bisogna metterlo in conto ma dura un paio di giorni e poi tutto diventa chiaro. Si rimane un po’ legati dai drenaggi e dalle flebo ma giorno dopo giorno anche loro diminuiscono per poi sparire. Dolore un po’ c’è ma bisogna essere consci del fatto che un trapianto d’organo non è un’appendicectomia. Giorno dopo giorno poi, quando si riesce a scendere da letto, è una vera rinascita.
Questa esperienza mi ha personalmente insegnato a rispettare meglio me stesso anche se gli accadimenti della vita a volte ti fanno dimenticare tale rispetto, se per caso a volte non vogliamo rispettare noi stessi abbiamo l’obbligo di rispettare chi, con la generosa decisione di donare i propri organi in caso di morte, ti ha permesso di tornare alla vita.
In chiusura di questo mio racconto un doveroso e soprattutto sentito ringraziamento al Donatore, alle Equipe mediche e paramediche dell’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano e dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova. Grazie ancora.
In ultimo un dolce e al tempo stesso doloroso pensiero per mia Figlia Benedetta “BIBI” che, un tragico evento ha strappato all’effetto dei suoi genitori a neppure 19 anni di età, lei la mia rinascita non ha potuto viverla.
Claudio”