La tetraplegia e il trapianto di fegato
Sono Pietro, un giovane medico neolaureato. Due anni fa, in seguito a un incidente stradale, sono stato ricoverato a Niguarda, in Unità Spinale, per una lesione midollare che mi ha reso tetraplegico.
Durante il mio lungo ricovero (circa un anno!), una volta conclusi gli esami universitari, ho dovuto occuparmi della tesi di laurea. Il mio obiettivo era una tesi in Radiologia e così, nel tempo libero da riabilitazione, fisioterapia, eccetera, approfittando della vicinanza dei reparti, cominciai a frequentare la Radiologia di Niguarda.
L’incontro con il dott. Di Sandro e un’inattesa opportunità di aiuto
Un giorno venni presentato al dott. Di Sandro che mi propose di dare una mano ad aggiornare il database del reparto di Chirurgia Generale e dei Trapianti riguardante i pazienti trapiantati per tumore del fegato. Si trattava di una enorme raccolta di dati di tutti i pazienti che avevano subito un trapianto di fegato per un tumore negli ultimi 18 anni. Il mio lavoro consisteva nel completare i dati mancanti degli ultimi anni, riguardare e, possibilmente, completare i dati precedenti.
I radiologi, per quanto spesso lavorino “dietro le quinte” e vengano poco a contatto con il paziente, hanno un ruolo molto importante nella gestione dell’epatocarcinoma, sia per quanto riguarda la diagnosi (tramite l’interpretazione di immagini tac, risonanze magnetiche, ecc.) che per la cura (tramite chemio o radio embolizzazioni).
Proprio per via di questo ruolo importante mi era capitato più volte, nel tempo in cui avevo frequentato il reparto, di approcciare dal punto di vista del radiologo pazienti con tumori al fegato. Ovviamente accettai con entusiasmo il lavoro che mi veniva proposto.
Il valore umano di un database scientifico
Ho passato molti mesi a lavorare quasi tutti i giorni a quel database, per ogni paziente venivano registrati una serie di parametri apparentemente freddi e asettici: il numero di noduli di tumore, le dimensioni di ciascun nodulo, il numero di trattamenti a cui il paziente era stato sottoposto, le condizioni al momento del trapianto, eccetera.
In realtà ben presto mi sono reso conto che questi dati non hanno solo un valore scientifico ma descrivono, in sintesi, tutta una parte, spesso enorme, della vita di moltissime persone. Per ogni nuovo paziente si tratta di scartabellare, ricercare, frugare in tutti gli esami, tutte le visite, tutti gli interventi a cui si era sottoposto, per estrarre quei dati che ne descrivano in sintesi la storia.
Leggendo poi il tutto in ordine cronologico non si può fare a meno di ricostruire, di rivivere in un certo senso, il pezzo di vita che è andato delineandosi lì davanti. Si trova una vecchia ecografia nel cui referto si parla per la prima volta di un nodulo, poi una tac, una risonanza, confermano in modo asciutto la presenza di tumore.
Dietro si intravede muoversi tutta la paura, o la rabbia, o l’incredulità per la prima diagnosi. Poi si immaginano le speranze e l’ansia delle visite successive; si intuiscono la fatica di mantenere una dieta, di assumere farmaci, per alcuni di lottare contro l’alcool. Si trova il momento in cui viene proposta una prima terapia: una resezione, un’ablazione, e si immaginano l’ansia, la preoccupazione ma anche le speranze. E poi ancora, nelle visite di controllo successive, si intuisce la lotta continua. Qualche volta il nodulo scompare, qualche volta si trova il referto che descrive la comparsa di nuovi noduli e si può solo immaginare cosa questo abbia portato nella vita di quella persona.
Una luce particolare
C’è poi il momento della proposta del trapianto, accuratamente registrata, (e, dietro, si intuiscono le discussioni, le domande, le spiegazioni). Numerose altre visite, controlli, e poi, dopo un tempo variabile, si trova il verbale di camera operatoria. Semplicemente vedere scritto “verbale di camera operatoria” significa che è arrivato un organo, il paziente è stato convocato, ha ricevuto una chiamata che attendeva da chissà quanto tempo, con paura e speranza, che è stato portato in ospedale, ricoverato e operato. L’operazione è riuscita bene, si segue la convalescenza nella cartella infermieristica. Ma è difficile non immaginare la vita dietro questi fatti registrati. Il paziente viene dimesso e poi si seguono i follow-up, prima frequenti poi, nel tempo, più radi. Per tanti, tantissimi per fortuna, si trova traccia di una visita recente: stanno bene. Per altri invece si scopre un referto che parla di recidiva. Altri ancora, nel tempo, sono deceduti.
Ho percorso in questo modo conciso le vicende di un enorme numero di persone. Credo di averle seguite da un angolo molto particolare: ricostruite a partire dalle tracce lasciate da referti, visite, e in un momento in cui io stesso ero ricoverato per gravi problemi di salute, in cui ho subito a mia volta operazioni delicate. Non ho mai fatto (non è mai venuto e comunque non l’avrei considerato corretto) paragoni tra la mia vicenda e quelle che mi si ricostruivano davanti. Non credo nemmeno che la mia vicenda personale abbia particolarmente aumentato l’attenzione o la sensibilità verso le persone di cui intuivo le fatiche. Credo, o almeno vorrei sperare, che anche senza essere passato da un incidente si possa avere attenzione e cura nei confronti delle sofferenze altrui. Però è indubbio che la mia condizione in quel momento ha dato una luce particolare a ciò che vedevo.
Per un’attesa migliore
È arrivato poi il momento di utilizzare tutti questi dati, così meticolosamente raccolti, per fare un lavoro scientifico: la mia tesi. Abbiamo studiato una nuova scala di priorità che dovrebbe permettere di gestire al meglio gli organi disponibili. Abbiamo lavorato quindi su quel tempo che, dai referti, non è altro che lo spazio tra l’ultima visita in cui si certifica che il paziente è entrato in lista d’attesa e il verbale di camera operatoria. Nella realtà si può difficilmente immaginare cosa significhi questo tempo di attesa, di speranza e paura. Avere un sistema che organizza al meglio questo momento sembra davvero fondamentale.
Il risultato del lavoro è stato apprezzato e premiato infine con una lode. Al di là del risultato credo di essere stato fortunato ad avere la possibilità di incontrare e conoscere, in un modo così particolare, una realtà come quella di Niguarda Transplant Foundation.
Dopo la laurea comincia la specialità. Comincerò la specialità in Radiologia, sicuramente arricchito dall’incontro prezioso, sebbene indiretto e mediato, con così tante persone, così tante realtà.