Una mattina di diversi anni fa.
Coordino alcune cooperative sociali impegnate nel recupero di ragazzi del disagio sociale, ospitate in un grande edificio già destinato ad attività scolastiche.
Percorro il corridoio del pianterreno e mi fermo per uno scambio di battute con una volontaria appena incrociata.
Mentre parlo, noto una signora distinta e mi sembra che si guardi in giro come se si fosse persa, con lo sguardo che vaga senza soffermarsi realmente su nulla.
“Buongiorno signora, come la posso aiutare?”
“Mi faccia dire un’Ave Maria”
“Come dice scusi?”
“Mi faccia dire un’Ave Maria”
“Ma veramente, senta, noi qui…”
La signora mi interrompe e si mette a urlare. Dalle porte che si affacciano sul corridoio esce qualcuno per vedere cosa succede.
“Perché no? – grida la signora – Io voglio solo che mi faccia dire un’Ave Maria!”
“Certo, certo – e comincio a fare un ampio segno di croce invitando con un cenno chi è uscito in corridoio a fare altrettanto – nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Ave Maria, piena di grazia…”
La voce della signora, tornata istantaneamente alla normalità, accompagna la preghiera col ritardo tipico di alcune recite del Rosario, in cui non c’è verso di pregare all’unisono. Quando l’Ave Maria termina, la signora mi chiede chi sono, poi si volta e se ne va così come era venuta. Commenti perplessi ma benevoli rianimano il corridoio.
Passano un paio di giorni e la signora compare di nuovo. Stavolta si muove con passo deciso e ho l’impressione che mi cerchi. Chi la riconosce, interrompe il lavoro senza battere ciglio, chi non ha avuto modo di incontrarla la volta scorsa chiede sottovoce chi sia e cosa sta succedendo. Le vado incontro e porto la mano destra alla fronte: “Nel nome del Padre, del Figlio…”. I presenti si uniscono al segno di croce e recitano con me e la signora una Ave Maria.
Chi è questa signora? Non si sa. Torna ancora altre volte nel corso dei mesi successivi, poi sparisce per lasciare il posto a qualcuno che, come lei, sta cercando un po’ di attenzione.
Ciascuno di noi ha necessità grandi e piccole, sempre diverse, ma tutti abbiamo bisogno di incontrare uno sguardo umano.
Mi tornano alla mente le parole del grande regista e scrittore Andrej Tarkovskij:
“Lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco e non ce la fai più. E d’un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno – uno sguardo umano – ed è come se ti fossi accostato a un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente più semplice”.
Che il Santo Natale porti a tutti uno sguardo così.
Auguri
Walter Izzo
Foto: “Madonnetta”, Bocche di Bonifacio.