A vent’anni dal trapianto il racconto di chi ce l’ha fatta: la storia di Gianni Alfieri, paziente del Professor De Carlis dal 1998.
La testimonianza viene riportata nell’articolo di Prevenzione Oggi rivista di AIDO LOMBARDIA del mese di Aprile, che siamo felici di condividere tra le nostre storie.
Ricorrenza che sottolinea ancora una volta quanto è importante la donazione e come un trapianto regali una seconda vita.
Questa storia fa, anche, parte dei ricordi dell’Ospedale Niguarda che quest’anno festeggia i suoi 80 anni di cura e cultura per la salute dal 1939.
Quando tutto ebbe inizio.
“Era l’86 – racconta Alfieri – l’anno in cui si stavano finalmente realizzando tutti i miei progetti più ambiziosi […] I ricordi vanno immediatamente a quella strana mattina in cui – ammette – “sono proprio convinto che qualcuno mi abbia detto: Fermati!”. A pensarci bene Gianni quel giorno non avrebbe dovuto nemmeno recarsi in azienda. C’era passato “per puro caso” solo perché un cliente aveva cancellato l’appuntamento in esterno. “Sta di fatto che il mio diretto superiore – spiega Alfieri – mi propose di sottopormi a una visita medica di controllo che in realtà non era riservata ai dirigenti, ma agli operai, più a contatto con le materie chimiche. “Falla anche tu – mi disse – così siamo tutti più tranquilli”. Stranamente accettai. Mi prelevarono un campione di sangue e lo fecero analizzare. Due giorni dopo mi mandarono a chiamare”. L’esito degli esami, comunicato dal medico aziendale, è del tutto inaspettato: transaminasi ai massimi livelli, gamma GT a 300. Viene immediatamente consigliata la visita da uno specialista gastroenterologo, il dott. Negrini degli allora Riuniti di Bergamo, il quale suggerisce, ai fini della diagnosi, l’esecuzione di una biopsia epatica. “Pochi giorni dopo ebbi il risultato. Il dott. Negrini mi parlò di epatite B in evoluzione cirrotica. Disse che il virus era in uno stato semi-avanzato: avrebbe potuto rimanere latente ancora per tanto tempo cosi come avrebbe potuto progredire progressivamente verso la cirrosi con conseguente necessità di un trapianto”. Le parole dello specialista sono come macigni. Epatite, cirrosi, trapianto. Gianni si sente completamente frastornato ma soprattutto non riesce a spiegarsi come possa avere contratto il virus… […]
Il trasferimento al Niguarda.
Ottenuto il consenso di Alfieri, il dott. Negrini si mette prontamente in contatto con il prof. Forti dell’Ospedale Niguarda di Milano affinché il paziente possa essere preso in carico presso la struttura. Eseguiti tutti gli esami di routine, il 3 marzo del ’96 viene finalmente inserito in lista di attesa. […] Alle 22.45 del 19 gennaio 1998 arriva la telefonata tanto attesa. “Sig. Alfieri, c’è un organo disponibile. Accetta?”. Cala il silenzio, cinque minuti di panico totale. “Non riuscii a rispondere -ricorda – Mi mancò completamente il fiato. La signorina all’altro capo del telefono capì però perfettamente la situazione e mi ripropose gentilmente la domanda. Questa volta gridai con tutto la voce che avevo: “Sì, sì, accetto”. Svegliai mia moglie, ci vestimmo, un bacio alle bambine e di corsa in macchina alla volta del Niguarda”. Il tragitto da Bergamo a Milano viene percorso nella massima tranquillità. Poi l’arrivo al Pronto Soccorso, i controlli e infine l’attesa in reparto. “Il vero incubo fu da mezzanotte alle 3. Il tempo di attesa per la verifica dell’idoneità dell’organo sembrava non finire mai. In un momento di impazienza e nervosismo dissi ad Antonella che o quella mia unica possibilità andava in porto o non ne avrei accettata un’altra”. Il destino è clemente e pare quasi ascoltare la richiesta di Alfieri. Alle 3 arriva la seconda telefonata, quella decisiva. L’infermiere risponde allo squillo “Ok – dice – prepariamo il paziente” […]
Il trapianto e il dopo.
L’intervento – durato più di 12 ore ed eseguito dal prof. Luciano De Carlis – riesce infatti perfettamente. “Al risveglio – dice Alfieri – mi sentii subito diverso […] Il sole era davvero abbagliante ed ebbi un solo pensiero: sono vivo”. Talmente vivo da bruciare tutte le tappe del decorso post-operatorio: Alfieri viene infatti estubato prima del previsto e a sole 24 ore dall’operazione la sua saturazione presenta livelli ottimali. Dopo 2 giorni in terapia intensiva, il terzo viene trasferito in reparto dove chiede subito di poter camminare. “Appena misi i piedi a terra, tutto imbragato e pieno di cannule – dice orgoglioso – riuscii subito a fare due metri. Furono proprio quei pochi passi a confermarmi che ce l’avevo fatta e che chi mi aveva operato aveva fatto un lavoro eccellente”. Il riferimento è al prof. De Carlis verso il quale Alfieri nutre sentimenti di profonda riconoscenza. “È impossibile dimenticare chi ti ha permesso di rinascere” – afferma deciso -“Ancora più impossibile quando gli riconosci, oltre alla bravura, una straordinaria umanità”. E racconta di come due giorni dopo il trapianto il chirurgo lo abbia accompagnato a fare una gastroscopia assicurandosi personalmente che nel tragitto in esterno non prendesse freddo. “Sembra un particolare insignificante, in realtà per me fu importantissimo…” […]
Di seguito un estratto del recente incontro tra il prof. De Carlis e Gianni oggi.
“Poter incontrare il prof. Luciano De Carlis dopo quasi vent’anni – dice Gianni Alfieri quando lo rivede – è per me un vero e proprio regalo. Con chi ti ha ridato la vita si crea infatti un rapporto indissolubile che neanche il trascorrere del tempo può cancellare”. C’è davvero tutto in questa stretta di mano fra il trapiantologo e il paziente che la foto ha suggellato: la malattia, l’attesa, la paura di non riuscire a sopravvivere, il dono e infine il trionfo della vita sulla morte. Ecco perché è così palpabile l’emozione di entrambi. E se in Alfieri, come in un fermo-immagine, si affollano commossi i ricordi del momento del trapianto e dei successivi follow-up, in De Carlis è palese la soddisfazione nel vedere che il suo paziente, ormai 62enne, è in ottima forma. “Sono contento che sia rimasto identico a come me la ricordavo – dice il prof. De Carlis con meraviglia – ottimo segno, vuol dire che il trapianto è andato davvero a buon fine. Mi ricorda che malattia aveva?”. “Epatite B – risponde Alfieri – sono stato tra i primi pazienti a essere trattato con la tecnica dello split-liver.”